Portami il girasole ch’io lo trapianti
Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.
Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
é dunque la ventura delle venture.
Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.
da Eugenio Montale, Ossi di seppia
Ci sono poche poesie che mi piacciono come questa. Anche per il solo verso “portami il girasole impazzito di luce” Eugenio Montale degnamente meritò il premio Nobel. Attilio Pierri, mio (nostro) professore di Italiano e Latino, ne era convinto. Lui mi mostrò la bellezza di questa poesia, non solo questa bellezza e non solo la bellezza.
Il professor Attilio Pierri era mio amico.
Ci sono cose che non si raccontano nemmeno su un blog. Certo è che il professore Attilio Pierri tendeva alla chiarità, lui che era cosa oscura.
In suo onore e memoria, posso dire lo stesso di ben poche persone. Facile vivere nell’oscurità senza consapevolezza, ignorandola anche quando ci si affoga dentro. Attilio Pierri sapeva guardare l’oscurità dritta negli occhi continuando a tendere alla chiarità.
Non so nemmeno se fu un caso, ma lui scelse di svanire, di attuare la ventura delle venture, il giorno del mio compleanno. Se il caso esiste, fu un caso. A me il compito di leggere un messaggio involontario.
Dopo tanti anni e tanta oscurità e tanta chiarità, di Attilio Pierri, l’amico e il professore, posso scrivere che se ci fosse ancora stato avrebbe fatto _la differenza_, almeno nella mia vita.
E ancora e non solo, alla fine e oltre la fine, portami il girasole impazzito di luce, racconta della gioia del vivere e non della sua oscurità.
Capito?
Buona notte e buona fortuna
Elena